Dove si può comperare a Pantelleria del buon pesce, magari un’aragosta? E’ questa una delle domande più frequenti che ci sentiamo rivolgere dai nostri clienti.
Sentite dunque questa storia che si svolse in quel piccolo teatro di tante storie che è il Vicolo Venedisé.
La via Venedisé e la sua prosecuzione, l’omonimo vicolo Venedisé, dove si trova Giardini di Pantelleria, erano una volta un’arteria importante, che collegava la contrada di Bukkuram al porto di Scauri. Al tempo del mio arrivo a Pantelleria il traffico era soprattutto di muli con basti carichi di uva, capperi e prodotti agricoli vari, che dai campi salivano verso Bukkuram, e di ragazzini che da Bukkuram scendevano a piedi verso Sataria a fare il bagno. Succedeva che vi transitasse anche qualche incauto motorino, ma le macchine naturalmente già passavano sulla nuova attuale strada alta Bukkuram/Scauri.
Poco sotto casa nostra il vicolo Venedisè si biforcava proseguendo da un lato a sinistra verso le località di Penna e Scauri porto e dall’altro a destra verso la Grotta di Sataria. Quest’ultimo tratto era un sentierino, che passando tra i campi conduceva in pochi minuti al mare. Quante volte l’abbiamo percorso io o i miei figli per un veloce bagno nelle acque di Sataria di prima mattina o verso sera! Ora purtroppo il viottolo per Sataria non è più percorribile, e, se volete andare al mare a piedi, non vi resta che lo sgarruppato sentiero per Penna (25 min. circa).
Ma torniamo ai tempi in cui i ragazzini di Bukkuram, asciugamano al collo, scendevano a piedi al mare e a quando Pierino, pescatore della contrada Venedisé, scendeva e saliva tutti i giorni la strada per raggiungere la sua barchetta, tirata a secco sul minuscolo porticciolo di Sataria. Pierino era un’istituzione a Venedisé: puntualmente ad una certa ora della sera si vedeva la sua lampara luccicare sul mare. Poi la mattina presto, quando ancora noi turisti eravamo immersi nel sonno, lui risaliva per il vicolo verso casa e mi lasciava sotto il portico il pesce che aveva appena pescato.
Non potete immaginare cosa fosse svegliarsi alla mattina e trovare sul tavolo il pesce fresco di Pierino e magari qualche rosso pomodoro o delle cocuzze appena colte nel campo! Il menù della sera era già fatto… a pranzo poi ci si accontentava di qualche arancino di riso, comprato in paese, e dell’uva o delle pesche dall’albero.
L’unico inconveniente, se così si può dire, era il rischio della monotonia. Se Pierino pescava salpe, si mangiavano salpe, se Pierino pescava totani, si mangiavano totani. E fin qui tutto bene, ma talvolta capitava che branchi di salpe o di occhiate stazionassero per giorni e giorni davanti a Sataria obbligandoci alla saga delle salpe, piuttosto che a quella delle occhiate, o che legioni di totani e cefalopodi invadessero il mare nelle notti di novilunio. Allora il problema era se mai inventarsi ricette di totani in umido, totani ripieni, totani fritti, risotto coi totani, ecc.
Per fortuna era già stato inventato il freezer… Ma cosa fare quando arrivava il momento dell’aragosta, che bisogna mangiarla viva: il primo giorno salti di gioia per la classica aragosta con la maionese fatta a mano, il secondo ci lecchiamo tutti i baffi con gli spaghetti all’aragosta, il terzo giorno, che dite? si potrebbe farla alla griglia… Al quarto giorno arriva la telefonata dei nostri vicini di casa torinesi: fantastico, siamo invitati a cena! Indovinate un po’cosa ci avevano preparato? Aragosta, naturalmente…
Pierino aveva inondato di aragoste tutto il vicinato… Bei tempi passati!